Buon giorno meraviglie!
Oggi ritorno a parlarvi di un autore che ho già avuto modo di presentarvi: Marco Conti, un giovane scrittore che dopo “Il Confine” ritorna con una nuova serie di racconti editi dalla casa editrice Amico Libro. Il romanzo si intitola “Il violinista del diavolo” nel quale ha scelto di raccontare nove storie vere, appartenenti al degrado e alla sofferenza della nostra società, per sottolineare come ci siano vittime e carnefici, scegliendo però di non impietosire il lettore…
Ho scelto di parlarvi del romanzo attraverso un’intervista in cui l’autore parla di sé, della genesi dei suoi romanzi, il suo lavoro, la percezione della vita.
Signore e signori, vi presento Marco Conti!
- Chi è Marco Conti?
Ho sempre amato scrivere, fin dalla giovane età, sui banchi di scuola. Credo molto nella forza comunicativa della scrittura e delle parole. Mi considero un autore di racconti, vista la piega che ha preso il mio percorso letterario, genere particolare e poco amato dagli editori. Tanto che non sono molti gli autori che si cimentano in questo genere. Ma prima di essere uno scrittore, molto prima, mi considero un accanito lettore, e mi sento, in tal senso, figlio di quel filone di scrittori “dannati” della letteratura americana del 1900. Adoro in particolar modo Fante e Bukowski, e, soprattutto, Raymond Carver, che considero il maggior esponente della “Short Story”. In Italia il mio punto di riferimento è sicuramente Andrea G.Pinketts, quello che considero il mio maestro, e che da due anni mi ha preso sotto la sua ala protettrice, fornendomi consigli, confronto e collaborazioni per me preziose.
3. Nei tuoi racconti parli continuamente di un “DIO” sordo al chiasso della disperazione e della miseria sociale. Credi, non credi?
No, non credo in nessun Dio, o in chi per lui. Purtroppo non riesco ad avvicinarmi ad una dimensione spirituale, ma resto ancorato ad una visione cinica e pragmatica della vita. Credo, o almeno mi sforzo di farlo, nell’uomo e nei suoi valori. Nella sua capacità di fare ancora del bene, di riconoscere i suoi errori. Credo nel rispetto e nel confronto. Nel potere della parola e della cultura. Credo nella solidarietà e nelle buone intenzioni di una società che andrebbe ricostruita partendo dalle fondamenta valoriali. Una società tecnologica ma allo stesso barbara. Credo nel potere dell’istruzione, della prevenzione e della sensibilizzazione. Credo, o quantomeno mi sforzo di farlo, in qualcosa che somiglia molto alla speranza.
4. In questo romanzo, come nel precedente (Sul confine), compari tu o il tuo libro perché questa scelta?
Nessuna motivazione particolare. Nei miei racconti amo i riferimenti musicali e letterari. Cito canzoni italiane a me care e libri che porto nel cuore. Mi piacciono questi parallelismi letterari. Ogni tanto cito anche me stesso, ma è più una presa per i fondelli che un vero e proprio artificio letterario. Un modo come un altro per non prendermi mai troppo sul serio.
5. Nel tuo lavoro sei costantemente a contatto con storie simili a quelle che racconti. Come si incassano, umanamente parlando, le storie difficili con cui devi fare i conti quotidianamente?
Purtroppo non si incassano. E’ molto difficile capacitarsene, farsene una ragione e metabolizzarle. Soprattutto in caso di insuccessi professionali. Si trasformano in cicatrici che inevitabilmente mi porto a casa. In fantasmi che ogni tanto destano il mio sonno nel cuore della notte. Ecco perché ho necessità di scrivere. In questo senso scrivo per disinfettare le mie ferite, oltre che per comunicare, per incanalare le sofferenze che tocco con mano verso una dimensione costruttiva e comunicativa. Per trasformarle in occasione di riflessione e ricostruzione per me e per i miei lettori.
6. A quale racconto sei più legato? Perché?
I racconti che fanno parte del “Violinista del diavolo” sono tutte storie vere che io ho visto e vissuto. Quindi non c’è uno che prevale sugli altri. Sono legato a tutti in egual misura. Se dovessi sceglierne uno, beh, allora sceglierei quello da cui tutto è partito, e che rappresenta l’introduzione agli altri otto racconti. Nato casualmente, una notte di mezza estate, quando ormai la mia motivazione sembrava stesse andare a scemare. Quello che ha riacceso la lampadina, e che ho nominato, appunto, “il violinista del diavolo”.
7. Prossimamente ti troveremo impegnato a lavorare su progetti diversi o tratterai sempre di tematiche sociali?
Francamente non saprei. Per ora voglio concentrarmi sulla diffusione di questo nuovo progetto. Attendo la reazione e il parere dei miei lettori. Mi piace mettermi sempre in gioco e sperimentare cose nuove, quindi sono curioso anche io di vedere dove mi porterà la mia ispirazione. Non escludo nulla, ma penso che non mi discosterò dal raccontare e denunciare la società e i suoi orrori.
8. Dai, ai miei lettori, tre motivi per acquistare il romanzo.
Bella domanda. Dunque, per aprire gli occhi su determinate realtà e sfumature della nostra società, riflettere sul degrado e sulla solitudine, soffermarsi sulla consapevolezza che chiunque, in una fase della propria vita, può essere stato non solo una vittima ma anche un carnefice. Un creatore, più o meno consapevole, di sofferenza.
Per la prosa musicale, scorrevole e mai banale. Tagliente e originale. Che non ha paura di ferire o nuocere.
Per lasciarsi trasportare da nove storie vere che, durante la narrazione, alternano le carezze agli schiaffi, che iniziano con un bacio e terminano con pugno nello stomaco.
Maria Antonietta Azara